27 Marzo 2023

Cass. Pen., Sez. I, 01.02.2022, n.3609

Il profilo strutturale-funzionale del permesso di necessità non si attaglia a situazioni permanenti, non qualificabili in termini di particolare gravità e, soprattutto, riconducibili a esigenze altrimenti soddisfabili

 

La sentenza, oggetto del presente commento, trae origine dall’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, di rigetto del reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza con il quale era stata negata la richiesta di permesso di necessità, ex art. 30 O.P., avanzata da un detenuto al fine di incontrare la figlia minore, affetta da severi disturbi comportamentali, con tendenza alla chiusura relazionale di tipo autistico e alla depressione.

Il Tribunale poneva a fondamento del diniego due motivazioni, ovvero che le patologie della minore non erano tali da integrare evento di eccezionale gravità – quale requisito espressamente richiesto dal co. 2 dell’art. 30 O.P. – e che non erano tali da configurare un evento familiare di particolare gravità e ciò in considerazione della natura non circoscritta, non specifica, ma perdurante delle medesime.

La difesa, diversamente, riteneva doveroso il contemperamento tra le esigenze di salute mentale e serena crescita della minore e le esigenze trattamentali del padre detenuto.

Ebbene, la Corte, nel ritenere infondato il ricorso, ha ribadito i requisiti specifici e necessari ai fini della concessione del permesso di necessità ex art. 30 O.P.: “carattere eccezionale della concessione, particolare gravità dell’evento giustificativo, correlazione di tale evento con la vita familiare; [..] e il relativo accertamento deve essere compiuto tenendo conto dell’idoneità del fatto a incidere significativamente sulla vicenda umana del detenuto” (vd., tra le altre, Cass. Pen., Sez. I, 26062/2018), circoscrivendo in maniera netta l’ambito applicativo della disposizione ai casi di eccezionale gravità che, quindi, esulano dalle quotidiane necessità o eventi.

Pur avallando il ragionamento logico-giuridico sostenuto dalla Suprema Corte nella ricostruzione dell’istituto, si intende evidenziare una mera soggettiva considerazione verso un’auspicata più aperta e sistematica interpretazione della norma in attesa di una, pur auspicata, riforma legislativa.

Il permesso di necessità trova la sua ratio nel concetto di umanizzazione della pena e nel riconoscimento del valore dei legami familiari, compresi quelli che riguardano i “prossimi congiunti” ex art. 307, co. 4, c.p.

La Corte ha già chiarito il concetto di “gravità”, ritenendo che “non si riferisce soltanto ad un evento luttuoso o drammatico, ma deve essere inteso come un qualsiasi avvenimento particolarmente significativo nella vita di una persona. Il profilo della particolare gravità dell’evento si confonde con quello dell’eccezionalità, nel senso che essi insieme concorrono a definire un fatto del tutto al di fuori della quotidianità, sia per il suo intrinseco rilievo fattuale sia per la sua incidenza nella vita del detenuto e nella sua esperienza di isolamento carcerario” ed escludendo che “il disturbo autistico del figlio del detenuto potesse configurare un evento ex art.30 O.P.” (vd. Cass. Pen., Sez. I, sent. n.52820/2016).

Eppure, nel caso de quo, non può prescindersi dalla specificità delle circostanze e, quindi, dal merito delle patologie della minore, alle quali ben avrebbe dovuto il Giudicante dare una differente rilevanza, soffermandosi più che sul “lieve autismo”, bensì sulle cause che lo hanno generato, ovvero sulla difficoltà di instaurare relazioni, sull’assenza della figura paterna e sulle situazioni di bullismo scolastico di cui recentemente la medesima era stata vittima.

Cause da cui, per l’appunto, si origina la malattia ancora in uno stadio iniziale, non necessariamente perdurevoli o croniche, ben potendosi, in un’accezione più ampia e più flessibile del termine,  reputarsi “eccezionali”, così come ben potrebbe ritenersi “eccezionale”, la necessità dell’impellente intervento – mediante la concessione del permesso ex art. 30 c.2 O.P. – che favorisca il ricongiungimento familiare e l’instaurazione/ripristino di un legame affettivo con la figlia, necessari per evitare l’aggravamento delle condizioni psico-fisiche della minore.

Di talché se si considerano in tal senso le circostanze della patologia, accertate, così come precisa la stessa Corte, “tenendo conto dell’idoneità del fatto a incidere significativamente sulla vicenda umana del detenuto”, si potrebbe ravvisare l’eccezionalità che richiede la norma, non in termini preclusivi, categorizzando la malattia automaticamente come cronica e perdurevole alla stregua di un fatto notorio e irrimediabile, bensì tenendo conto della specificità delle circostanze, considerando, quindi, quale “evento particolare e circoscritto”, quello di consentire appunto al condannato di instaurare/ripristinare il legame affettivo con la figlia, realizzabile solo mediante il ricongiungimento, evitando così l’aggravamento, forse non altrimenti rimediabile, delle condizioni di salute della minore.

Pertanto, una maggiore flessibilità interpretativa della “gravità” e “dell’eccezionalità dell’evento” più verso situazioni di “particolare rilevanza” (vd. Relazione illustrativa allegata allo Schema di decreto legislativo in attuazione della Legge Delega 23 giugno 2017, n. 103), come è quella del caso di specie, sarebbe certamente più in linea con le finalità di umanizzazione della pena, della rieducazione e risocializzazione del condannato ex art. 27, c. 3 Cost. e della dignità della persona cui dovrebbe essere improntato il trattamento dei condannati e degli internati.

Ebbene, in una lettura più ampia e sistematica della norma e a garanzia delle predette finalità, nonché nel contemperamento degli interessi in gioco, a mero avviso della scrivente, si dovrebbe dare assoluta preminenza proprio alla cura e continuazione dei legami familiari e ciò in quanto sono proprio questi legami a rappresentare la prima e forse l’unica realtà in cui il condannato o l’internato si ritroverà a vivere appena fuori dall’istituto penitenziario e che, fattivamente e in maniera determinante, contribuiranno poi alla sua risocializzazione.

Un’interpretazione più estensiva della norma, inoltre, garantirebbe una tutela a tutta quella serie di situazioni, che benché non “gravi” in senso negativo e restrittivo, sono certamente “rilevanti” e, dunque, parimenti meritevoli di tutela o a quelle situazioni “potenzialmente gravi”, il cui intervento tardivo potrebbe rivelarsi inefficace nei termini sempre delle finalità di umanizzazione della pena e risocializzazione del condannato o internato, come, per l’appunto, quella del caso di specie e che ad oggi ancora non trovano adeguata risposta nel sistema normativo penitenziario.

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Modificato: 27 Marzo 2023