24 Settembre 2021

Autore:  Armando Cavaliere

La questione se la presenza di un soggetto “sospetto Covid” nel nucleo familiare del difensore costituisca legittimo impedimento che giustifichi il rinvio dell’udienza o meno è stata molto recentemente – precisamente il 21 Aprile 2021 (sentenza pubblicata il 28 Maggio 2021 n. 21139) – risolta dalla Suprema Corte,

quando lo stesso giudice di legittimità è stato chiamato a decidere su un ricorso avverso un’ordinanza emessa il 14 Ottobre 2020 del Tribunale di sorveglianza di Roma il quale rigettava l’istanza di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale presentata dal condannato in relazione alla pena detentiva che doveva scontare.

Nella fattispecie, il Tribunale di sorveglianza respingeva il beneficio penitenziario richiesto e richiamava a sostegno della propria decisione i) la gravità dei fatti di reato per i quali l’istante era stato condannato ii) oltre all’incompletezza del processo di rivisitazione critica del suo vissuto criminale che imponeva di formulare una prognosi negativa sull’idoneità della misura alternativa invocata ad assolvere alle sue finalità di prevenzione speciale. Tuttavia, il Giudicante, in modo incontroverso, ometteva di pronunciarsi sull’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore del ricorrente – presentata all’udienza del 14 Ottobre 2020 e riguardante la presenza di un soggetto con “sospetto Covid” nel suo nucleo familiare (e dunque persona a contatto) – per effetto del quale doveva essere dichiarata dai giudici di piazza Cavour la nullità assoluta e insanabile dell’ordinanza adottata all’esito di tale udienza.

Ora, com’è noto, lo svolgimento dell’udienza in camera di consiglio davanti al Tribunale di sorveglianza è disciplinato dall’art. 127 c.p.p., il cui terzo comma stabilisce che il Pubblico ministero, gli altri destinatari dell’avviso della data di udienza nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Tale disposizione deve essere integrata dal comma 4 dello stesso art. 127 c.p.p. secondo cui “L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice”.

La Corte di cassazione, inoltre, nella decisione in commento non ometteva poi di considerare che questa disciplina normativa, a sua volta, deve essere considerata anche – ma non solo, secondo chi scrive per quanto seguirà – alla luce dalla previsione dell’art. 420 ter, comma 5, primo periodo, c.p.p. che, in materia di legittimo impedimento difensivo, prevede che il giudice “provvede a norma del comma 1 nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l’assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato”.

Ebbene, al quesito inizialmente posto ed oggetto della sentenza in commento si è dato dunque oggi risposta affermativa sulle premesse che “La disciplina dell’udienza del procedimento di sorveglianza, pertanto, deve essere applicata integralmente al rappresentante del detenuto, al quale devono essere riconosciute tutte le garanzie processuali previste per il suo assistito dal combinato disposto degli artt. 127, commi 3 e 4, e 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., con la conseguenza che al difensore deve essere garantito il diritto al rinvio dell’udienza laddove sia legittimamente impedito. L’impedimento del difensore, però, deve essere appositamente documentato e tempestivamente comunicato all’autorità giudiziaria davanti alla quale è in corso di svolgimento il procedimento di sorveglianza – nel nostro caso rappresentata dal Tribunale di sorveglianza di Roma -, come costantemente affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 21981 del 17/07/2020, Lungu, Rv. 279664-01; Sez. 1, n. 20998 del 26/06/2020, Puca, Rv. 279333-01; Sez. 1, n. 27074 del 03/05/2017, Recupero, Rv. 270343-01)”.

Pertanto, la decisione impugnata veniva considerata in contrasto con la disciplina dell’udienza camerale prefigurata dal combinato disposto degli artt. 127, commi 3 e 4, e 420 ter, comma 5, c.p.p., che deve ritenersi applicabile nei procedimenti di sorveglianza, nei casi in cui il legittimo impedimento riguardi l’ipotesi in cui il difensore del detenuto adduca la presenza di un soggetto con “sospetto Covid” nel suo nucleo familiare. Tali conclusioni, del resto, si impongono alla luce della giurisprudenza consolidata di del giudice di legittimità, secondo cui “L’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., si applica anche nel procedimento di sorveglianza, sicché il legittimo impedimento del difensore costituisce una causa di rinvio dell’udienza che, se disattesa, dà luogo alla nullità di quest’ultima (Sez. 1, n. 34100 del 04/07/2019, Longo, Rv. 277310-01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 10565 del 16/01/2020, Bassetta, Rv. 278488-01)”. Continua ancora la Corte nel senso che “né potrebbe essere diversamente, atteso che come costantemente affermato da questa Corte: «Nel procedimento di sorveglianza, in sede di udienza camerale partecipata ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., è rilevante l’impedimento del difensore tempestivamente comunicato e determinato da serie ragioni di salute debitamente provate, sicché esso costituisce una causa di rinvio dell’udienza che, se disattesa, dà luogo a nullità di quest’ultima» (Sez. 1, n. 14622 del 07/02/2019, Ferretti, Rv. 275329-01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 27074 del 03/05/2017, Recupero, Rv. 270343-01)”.

La pronuncia in commento – pur tenendo presente che si tratta qui di un caso in cui ciò che si pone in primo piano, oltre alla salute del difensore, è l’interesse della collettività alla prevenzione del contagio da Coronavirus che dunque e comunque non deve rilevare quale fattore determinante ai fini del rinvio dell’udienza – acquisisce maggiore rilevanza se si considera il precedente orientamento negativo delle SS.UU.[1] sulla stessa questione dell’applicabilità del legittimo impedimento per imprevedibili ragioni di salute, di cui all’art. 420 ter, comma 5, c.p.p. nei procedimenti camerali disciplinati dall’art. 127 c.p.p., ivi compresi quelli per i quali la presenza del difensore è prevista come necessaria.

Questa regola di giudizio è stata poi in modo costante riaffermata, tranne che per i procedimenti camerali concernenti l’udienza preliminare, alla quale il legislatore ha esteso la disciplina del legittimo impedimento del difensore, secondo quanto disposto nell’art. 420 ter, comma 1, del Codice di rito in virtù delle profonde modifiche normative che ne hanno comportato un vero e proprio mutamento di natura. In altri termini, era assolutamente consolidato il principio per il quale il procedimento in appello, seguito a giudizio di primo grado svoltosi nelle forme del rito abbreviato, rilevava esclusivamente il legittimo impedimento dell’imputato e non anche quello del difensore, il quale veniva sentito solo se compariva (art. 127, comma 3, primo periodo, c.p.p.)[2]. Insomma, una volta espletate le rituali comunicazioni e notifiche, non è (rectius era) prevista, per ragioni di speditezza e concentrazione intrinseche alla natura del procedimento, la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore, con la conseguenza che l’eventuale impedimento di quest’ultimo non è (era) considerato motivo di rinvio.

Ma già meno remota giurisprudenza delle SS.UU.[3] non condivideva le conclusioni della giurisprudenza fino ad allora dominante – anche se non unanime in presenza di un contrasto giurisprudenziale sulla correlata questione dell’onere a carico del difensore impedito a presenziare l’udienza per malattia di fornire specifica ragione circa l’impossibilità di nominare un sostituto – e mutava il proprio orientamento affermando, così, la rilevanza – seppur nel giudizio camerale di appello conseguente a processo di primo grado celebrato con rito abbreviato – dell’impedimento del difensore determinato da imprevedibili ragioni di salute. Nell’occasione, comunque, le SS.UU. “Nifo” (dal nome di uno degli imputati ricorrenti) stabilivano che l’impedimento del difensore può essere dovuta a motivi di salute e in tal caso non è necessario che egli nomini un sostituto processuale ovvero indichi le ragioni dell’omessa nomina, purché queste siano debitamente documentate e tempestivamente comunicate e, nel caso in esame, annullava per un nuovo giudizio la impugnata decisione della Corte di appello che non aveva affatto esaminato la serietà, l’imprevedibilità e l’attualità dell’impedimento per ragioni di salute dedotto dal difensore.

Il punto di partenza e criterio guida della lettura della SS.UU. del 2016 – che chi scrive condivide pienamente – è stato il diritto di difesa che si specifica nel principio di parità delle parti (accusa e difesa) nella partecipazione al processo. A sua volta la partecipazione, che non è mera assistenza, si specifica nella ricerca, individuazione, proposizione e valutazione di tutti gli elementi probatori e nell’analisi della fattispecie legale e, dunque, nell’effettività del diritto di difesa che, in quanto tale, non può ridursi ad una mera formale presenza di un tecnico del diritto che, per mancanza di significativi rapporti con le parti e per il ridotto tempo a disposizione, non sia in grado di padroneggiare adeguatamente il materiale di causa. Le SS.UU., sempre nella sentenza “Nifo”, disegnano il ruolo chiave del difensore nella dinamica processuale e nell’espletamento dell’ufficio difensivo, che lo pone quale garante del contraddittorio e dell’effettività del diritto di difesa, pervenendo al punto centrale del problema: una difesa efficace ed effettiva postula, non solo la profonda competenza tecnica del difensore, ma anche la padronanza dei fatti, possibile solo ove sussista un rapporto di diretta collaborazione con l’imputato. In sostanza, l’imputato non ha più il mero diritto ad un difensore, bensì a quel difensore che, sulla base del rapporto col proprio assistito, è anche colui che è in grado di conoscere gli atti e lo stato del procedimento meglio di qualsiasi altro legale; ciò stante la centralità della figura del difensore rispetto ai principi del contraddittorio e della parità delle armi. Peraltro, la garanzia relativa al legittimo impedimento, dovuto a serie ragioni di salute, non è immune da verifiche, essendo, anzi, sottoposta a rigorosi criteri di controllo affinché la tutela del diritto alla salute del difensore non venga strumentalizzata per finalità dilatorie. Infatti, il difensore deve, comunque, provare con idonea documentazione la sussistenza dell’impedimento e le caratteristiche ostative alla personale comparizione. In particolare, deve trattarsi di impedimento giustificato da circostanze improvvise ed assolutamente imprevedibili, tali da impedire anche la tempestiva nomina di un sostituto che possa essere sufficientemente edotto circa la vicenda in questione. Senza trascurare che la valutazione in ordine alla serietà, imprevedibilità ed attualità dell’impedimento è riservato al giudice di merito e deve essere fondata su una motivazione adeguata. Così, si stabiliva, è illegittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza di differimento dell’udienza, proposta dal difensore di fiducia impedito per grave malattia o altro impedimento imprevedibile, dovuto a forza maggiore, se motivato con esclusivo riguardo alla mancata nomina del sostituto processuale o dell’impossibilità di nominarlo.

Le SS.UU. del 2016 hanno – è bene sottolineare inoltre – portato ad una interpretazione dell’art. 127, comma 3, c.p.p. in senso costituzionalmente orientato, cioè evitando che il diritto al rinvio in esame, espressamente riconosciuto in sede di procedimento camerale per lo svolgimento dell’udienza preliminare (art. 420 ter c.p.p.), non lo sia, in aperto contrasto con l’art. 3 Cost., in altre udienze camerali aventi un oggetto di pari o superiore valore rilevanza: il procedimento di sorveglianza, infatti, che per l’oggetto incide sulla libertà personale del condannato (art. 13 Cost.) e sull’andamento della sanzione penale alla funzione rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.), è meritevole, quantomeno, dello stesso livello di tutela previsto per un’udienza, come quella preliminare, il cui esito è meramente processuale. Ma vi è di più: il mancato allineamento della disciplina del procedimento di sorveglianza a quella stabilita per il rito camerale di cui agli artt. 127, comma 3, 443, comma 4, e 559 c.p.p. risulterebbe ancora più grave in considerazione del fatto che quest’ultimo è un procedimento nella cui struttura la partecipazione del difensore è solo facoltativa. Non si comprenderebbe mai, dunque, come potrebbe rilevare il legittimo impedimento di un difensore che può partecipare all’udienza e non rileverebbe quello di un difensore che deve partecipare all’udienza[4] (l’art. 666, comma 4, c.p.p. richiamato dall’art. 678, comma 1, in riferimento al procedimento di sorveglianza prevede che l’udienza si svolga con la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore – a differenza di quanto stabilito dall’art. 127, comma 3, c.p.p. per la disciplina generale del procedimento in camera di consiglio in cui la presenza del dei predetti soggetti è concepita come facoltativa considerato che essi “sono sentiti se compaiono”).

(1 SS.UU., sentenza del 27.06.2006, n. 31461 – Passamani, secondo la cui Massima il legittimo impedimento a comparire del difensore non ha rilievo nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, nei quali basta che sia assicurata la presenza di un sostituto, anche se nominato d’ufficio, per evitare il rinvio dell’udienza).

(2 Cass. Pen., Sez. V, del 15.10.2014, dep. il 03.03.2015, n. 9249 – Motta; Sez. I, del 24.11.2011, dep. il 22.02.2012, n. 6907 – Ganceanu; Sez. V, del 12.05.2015, dep. 17.06.2015, n. 25501 – Corona; Sez. IV, del 18.12.2014, dep. il 16.06.2015, n. 25143 – Piperi).

(3 Sentenza del 23 Giugno 2016, dep. il 21 Luglio 2016, n. 41432 – Nifo).

(4 V. L’esecuzione penale, a cura di Fabio Fiorentin e Fabrizio Siracusano, Giuffrè, p. 1197 e ss). 

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Modificato: 21 Marzo 2023