5 Maggio 2022

Non è rilevante per lo scrutinio delle questioni stesse lo ius superveniens che ha oggi reso possibili i depositi telematici e l’invio di atti, documenti e istanze via PEC da parte dei difensori durante la pandemia da COVID-19. L’ordinanza di rimessione è stata infatti depositata il 28 novembre 2018, e il giudice a quo deve valutare la ritualità della notifica via PEC effettuata dal difensore dell’imputato con riferimento alla normativa all’epoca vigente, secondo il principio tempus regit actum che opera in materia processuale.

È innegabile che dal quadro normativo precedente alla legislazione emergenziale del 2020, poc’anzi ricostruito, trasparisse una evidente disparità di trattamento tra le parti del processo penale.

Al pubblico ministero era infatti consentito in via generale l’uso della PEC per le notificazioni al difensore dell’imputato o indagato, laddove analoga possibilità era preclusa al difensore per le notificazioni al pubblico ministero.

Una tale disparità di trattamento non poteva, d’altra parte, ritenersi sorretta da ragionevoli giustificazioni.

Al contempo, questa Corte non può, però, esimersi dal formulare il pressante auspicio che il Governo dia puntuale attuazione alla delega conferitagli dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134 del 2021, confermando così anche per il futuro la facoltà per il difensore di giovarsi di modalità telematiche per l’effettuazione di notificazioni e depositi presso l’autorità giudiziaria. Ciò in coerenza con il dovere costituzionale di assicurare piena effettività al diritto di difesa, e assieme di superare definitivamente l’irragionevole disparità di trattamento tra parte pubblica e privata ravvisata, a ragione, dal giudice rimettente.

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Modificato: 4 Aprile 2023